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La perdita della Roma e le altre navi

La prima rappresaglia nazista, la prima vendetta seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943, appena 20 ore dopo l’annuncio di Badoglio, fu attuata contro le navi della Regia Marina ed ebbe un costo spaventoso, altissimo, per la perdita di mezzi navali e soprattutto di vite umane, a cominciare  dalla corazzata Roma.

Insieme alla Roma furono perdute altre quattro navi: il Da Noli e il Vivaldi nelle Bocche di Bonifacio, il Pegaso e l’Impetuoso autoaffondate dai loro comandanti nel “Canale di Minorca”, nell’arcipelago delle Baleari. In totale perirono 1700 uomini e affondarono cinque navi.

 

Si è scritto e documentato molto delle vicende della Roma, ma non tutto è chiaro e dettagliato circa le tragiche conseguenze, o per meglio dire, i danni collaterali che colpirono in modo diretto e inconsapevole, uomini e mezzi presi di mira da coloro che fino al giorno prima erano stati gli alleati forti dell’Asse Roma – Berlino.

Cominciamo dai cacciatorpediniere Da Noli e Vivaldi che partiti uno da Genova e l’altro da La Spezia la notte dell’8 settembre del 43, erano in vista del porto di Civitavecchia, dove avrebbero dovuto imbarcare la famiglia reale e tutto lo Stato Maggiore del governo, per condurli a La Maddalena, in un territorio italiano ritenuto libero da forze straniere. Il Re con il capo del governo Badoglio e alcuni ministri tra cui quello della Marina ammiraglio Raffaele De Courten, avrebbero dovuto incontrarsi con la flotta delle navi da battaglia che proveniva dai Porti di La Spezia e Genova agli ordini dell’Ammiraglio Bergamini e che costituiva l’ultimo baluardo di unità del Paese essendo la flotta ancora quasi del tutto integra e compatta nella fedeltà al Re.

Regio Torpediniere Antonio Da Noli

Le clausole armistiziali, note benissimo soltanto al re, al capo del governo e un paio di altri generali, prevedevano però che la flotta sarebbe dovuta andare verso il Porto di Bona dove avrebbe dovuto incontrare la flotta alleata alla quale consegnarsi e non in un Porto italiano.

C’è da rilevare anche che in Sardegna in quel momento si contavano almeno 30.000 soldati tedeschi della 90ª divisione corazzata, più altri in Corsica che iniziavano il ripiegamento con mezzi navali attraverso le acque delle Bocche di Bonifacio, senza alcun disturbo e con il beneplacito dei comandanti militari italiani della Sardegna. Si dirigevano verso la zona di Cassino dove avrebbero reso difficile la vita alle avanguardie alleate per ancora molto tempo.

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Comandante Cigala Fulgosi

Il cacciatorpediniere Antonio da Noli era stato impostato nei Cantieri Navali del Tirreno di Riva Trigoso nel 1927 e varato nel 1929 come esploratore leggero.

Aveva iniziato la sua carriera operativa dopo i primi lavori di modifica del 1930, partecipando alla missione in appoggio agli idrovolanti di Italo Balbo durante la famosa trasvolata Italia-Brasile. Successivamente aveva partecipato alle operazioni di appoggio navale italiano alle truppe del Generale Franco durante la guerra civile spagnola.

All’inizio del secondo conflitto mondiale, venne quasi subito destinato all’attività di scorta ai convogli per l’Africa Settentrionale, posa mine, pattugliamento e soccorso.

Per ironia della sorte, fu incredibilmente protagonista di due collisioni con unità amiche. Da entrambe ebbe gravi danni che lo fermarono per alcuni mesi di riparazioni. Rientrò in servizio operativo nell’agosto del 1943 in tempo per l’armistizio dell’8 settembre. Lo comandava il capitano di fregata  Pio Valdambrini.

Il cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, era entrato in servizio nella primavera del 1930 come esploratore leggero.

Partecipò anche lui alle operazioni di appoggio navale nella guerra civile spagnola e allo scoppio del secondo conflitto mondiale, come capo della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere con base a Taranto, partecipò a numerose missioni di squadra e di scorta ai convogli. Per il valore dimostrato si meritò la medaglia d’argento.

Tra le azioni compiute, due sono particolarmente importanti: lo speronamento con conseguente affondamento del sommergibile inglese Oswald il 1º agosto 1940, nelle acque della Sicilia orientale e lo scontro di Pantelleria (15 giugno 1942) in cui il Vivaldi, comandato dal Capitano di Vascello Ignazio Castrogiovanni (Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria), insieme al Malocello alle ore 05,44 fu inviato dall’ammiraglio Da Zara, all’attacco dei mercantili nel convoglio inglese. Il comandante nemico Hardy a sua volta manda al contrattacco le sue unità leggere, quattro cacciatorpediniere: il Badsworth, Blankney, Icarus e Kujawiak, cui si aggiungono subito dopo altri cinque, il  Bedouin, Ithuriel, Marne, Matchless e Partridge.

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Giuseppe Marini

Fatto segno a un pesante fuoco di artiglieria e un fitto lancio di siluri il Vivaldi alle 06,15 viene colpito da un proiettile che scoppia nei locali della motrice di prora.  Subisce anche danni al timone, rimanendo immobile, ma non impotente. La sua reazione insieme a quella del Malocello che lo assiste avvolgendolo con cortine di fumo, fu tanto violenta che  colpì e affondò il Bedouin e il Partridge costringendo gli inglesi a ripiegare, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio che dovevano proteggere.

Con un incendio pauroso a bordo il Vivaldi, riesce con i propri mezzi a raggiungere il Porto di Trapani dove sbarca dieci caduti, difendendosi ancora da ripetuti attacchi aerei. Pochi giorni dopo raggiunge Napoli, dove rimane in riparazione per dieci mesi.

Impegnato nel medio Tirreno, subisce ancora svariati attacchi aerei, che lo costringono ancora a Genova per riparazioni, dove fu sorpreso dalla proclamazione dell’armistizio. Lo comandava il capitano di vascello Francesco Camicia.

Durante la navigazione alle 07.41 del 9 settembre, in vista di Civitavecchia, poiché sua maestà il Re aveva optato per la propria incolumità, preferendo scappare per altra via più sicura, le due navi ricevettero l’ordine di portarsi nella zona delle Bocche di Bonifacio con l’intento di unirsi alla squadra navale dell’ammiraglio Bergamini e contemporaneamente contrastare le forze tedesche che agivano in quel tratto di mare. Abbiamo già visto che era in corso il ripiegamento in Corsica della 90ª divisione che lasciava la Sardegna con grande tensione, ma senza combattimenti, come da accordi presi in precedenza con i comandanti italiani dell’Isola. I primi scontri avvengono al largo dell’isola di Razzoli poco a Nord de La Maddalena. C’è da domandarsi se il responsabile che diede quell’ordine, avesse ponderato attentamente circa l’opportunità di mettere mano alle armi, considerando ciò che stava accadendo in quel delicato momento nella zona de La Maddalena e delle acque circostanti.

Il Da Noli, dopo un violento scontro a fuoco con le batterie costiere e unità navali tedesche, urtò una mina che lo fece affondare rapidamente, spezzandosi in due, alle 17.50 del 9 settembre 1943. Soltanto poco più di un’ora dall’affondamento della corazzata Roma, nelle stesse acque. Vi furono solo 39 superstiti dei 257 componenti l’equipaggio. Fra i morti il comandante Pio Valdambrini con tutti gli uomini che si trovavano in plancia comando in quel momento. In totale si contano ancora 218 caduti.

Regia Torpediniera Orsa

 

Il Vivaldi a sua volta colpisce e affonda alcune motovedette e ne costringe altre alla fuga, ma viene a sua volta colpito dal fuoco delle batterie costiere della Corsica, che i tedeschi avevano nel frattempo sottratto agli italiani con un riuscito colpo di mano. Riporta gravi danni allo scafo e alle caldaie e finisce su un campo minato a Sud di Capo Fenu, rimanendo immobilizzato.

Riesce a proseguire precariamente la navigazione con una sola macchina, quando viene attaccato tra le 19.00 e le 20.00 da uno dei Dornier 217 del II. KG.100 e riceve il colpo di grazia con una bomba radiocomandata Henschel 293.

Sempre con una sola caldaia in funzione riesce a trascinarsi al di là dell’Asinara fino ad arrestare la sua corsa intorno alle 5,30 del 10 settembre, quando il comandante Camicia emana l’ordine di autoaffondare e abbandonare la nave.

torpediniera Pegaso

Il Capitano di Corvetta Alessandro Cavriani e il Capo meccanico Virginio Fasan, dalle scialuppe di salvataggio si gettano in mare e a nuoto ritornano a bordo del Vivaldi per affrettarne la fine. Li vedranno scomparire in mare insieme alla  nave, con il saluto alla bandiera. Per il loro eroismo sono stati insigniti della Medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria. Dell’equipaggio del Vivaldi muoiono 58 uomini e ne sopravvivono 240.

Dei 279 naufraghi di entrambe le navi le notizie riportate da varie fonti non sono concordi su come furono salvati. Tentiamo una sintesi.

Una parte dei naufraghi viene condotta in Corsica da un idrovolante tedesco di soccorso che ne prende a bordo 23, quasi tutti feriti. Altri 3 idrovolanti della Luftwaffe con le insegne della Croce Rossa, provenienti da Livorno, ammarrano vicino ad alcune zattere di salvataggio cariche di uomini e mentre iniziano l’imbarco dei feriti, sono attaccati da un quadrimotore americano che intima a quelli che già erano a bordo di abbandonare gli aerei che prontamente vengono incendiati, uccidendo due feriti gravi che erano rimasti all’interno.

All’1,30 dell’11 settembre, un giorno dopo l’affondamento, altri 47 naufraghi vengono riscattati da una motovedetta tedesca insieme al personale degli idrovolanti incendiati e condotti in Corsica. Altri due sono ricuperati da un idrovolante americano. La sera del 12. circa una quarantina di superstiti, molti del Da Noli, vengono intercettati da un sommergibile inglese, lo “Sportsman” che li conduce ad Algeri in un campo di prigionieri, da dove poi torneranno prima in Spagna dopo un viaggio drammatico in mare su imbarcazioni fatiscenti in condizioni al limite della sopravvivenza e infine in Italia. Un altro gruppo di sette sopravvissuti del Vivaldi, dopo sette giorni in balia del mare, arriva a Mahón il 16 settembre sulla  motozattera MZ 780, proveniente dalla Capraia, dopo essere sfuggita fortunosamente ai tedeschi.

Nelle acque delle Bocche di Bonifacio, in aiuto ai naufraghi sono arrivati tedeschi, inglesi e americani, ma gli italiani di Marisardegna, dove sono? Le corvette Danaide e Minerva alla fonda lungo le coste della Gallura, in cala Capra la prima  e in cala Saline la seconda, perché non sono state inviate alla ricerca dei naufraghi?

In oltre 65 anni, niente è rimasto attaccato alla porcellana delle due torpediniere Pegaso e Impetuoso, 90 metri di lunghezza, affondate all’alba, in assoluto silenzio dai loro comandanti il 12 settembre del 1943.

Regio Caccaiatorpediniere Ugolino Vivaldi

Tre WC di ceramica bianca, apparsi agli occhi di tre subacquei, sono gli unici elementi inalterati rimasti sul fondo in acque maiorchine, nella Spagna neutrale. I resti corrosi dalla pressione, le alghe e le formazioni coralline, riposano a circa 100 metri di profondità, adagiati su un fianco, nel canale di Minorca, a dieci miglia da Capo Formentor. Le due navi facevano parte della scorta alla flotta da battaglia e avevano preso parte al recupero dei naufraghi della Roma salvandone circa 120.

Data la differenza di velocità con le altre navi della squadriglia di salvataggio, furono subito lasciate libere di manovra, costituendo quindi una nuova squadriglia al comando del capitano di vascello Riccardo Imperiali, comandante del Pegaso. Durante la navigazione furono ripetutamente attaccate da aerei tedeschi, ma subirono danni di scarsa importanza. Bisognosi di assistenza per le avarie subite e di nafta, si recarono verso la costa di Nord-Est di Maiorca. Contemporaneamente anche la torpediniera Orsa comandata dal capitano di corvetta Gino Azzo del Pin, che aveva preso parte al recupero dei naufraghi, a corto di carburante dirigeva autonomamente nella stessa direzione.

Giunti nella Baia di Pollenza, dopo aver sbarcato i feriti e i naufraghi della Roma, i comandanti chiesero di essere riforniti di acqua e carburante per poter ripartire, ma le loro richieste non furono accolte.

A corto di rifornimenti, conoscendo le norme internazionali per le navi di paesi in guerra in porti neutrali, che passate 24 ore dal loro arrivo, sarebbero state internate nel porto fino alla fine della guerra, tanto il comandante Cigala Fulgosi del “Impetuoso”, come Riccardo Imperiali del “Pegaso”, dopo essere usciti con le loro navi dalla baia, spiegarono ai propri equipaggi il dovere che avevano di impedire che le navi cadessero in mani nemiche. Non si fidavano della neutralità degli spagnoli e temevano che questi ultimi li avrebbero consegnati agli alleati che per loro rimanevano sempre dei nemici.

Sconcertati per la resa dell’Italia, inseguiti dagli ex alleati tedeschi, senza notizie dal comando in capo di Roma e neppure dagli alleati, i due comandanti decisero che le loro moderne navi non avrebbero alzato altra bandiera. L’unica alternativa, farle scomparire in fondo al mare. All’alba del 12 settembre, alle 05,03 in meno di 50 minuti, il mare le inghiottì.

I naufraghi arrivarono in porto a Pollenza con alcune zattere di salvataggio, alcuni anche a nuoto e altri con l’aiuto di barche da pesca locali. Giunti a terra, furono soccorsi e confinati in un capannone della base di idrovolanti di Pollenza. I 624 uomini dei due equipaggi rimasero internati in Spagna fino all’estate del 1944, poco dopo la liberazione di Roma. L’Orsa rimasta completamente a secco di combustibile fu rimorchiata fino al porto di Palma de Mallorca.

Le altre unità che avevano partecipato al riscatto dei naufraghi della Roma: l’incrociatore Attilio Regolo, i cacciatorpediniere CarabiniereMitragliere e Fuciliere, alle quali si aggiunsero in un secondo tempo anche la torpediniera Orsa proveniente da Palma de Mallorca  con la Motozattera MZ780,  rimasero internate nel Porto di Mahón a Menorca per 16 mesi fino al gennaio de 1945, quando il comandante della flottiglia capitano di vascello Giuseppe Marini che aveva esemplarmente lottato per la sua squadriglia e per i suoi uomini, poté finalmente fare ritorno in Patria con le sue navi al completo, avendo ancora la possibilità di partecipare agli ultimi mesi della guerra di liberazione del Paese. Gli equipaggi di quelle navi internate ammontavano a circa 2000 uomini.

Questi in estrema sintesi gli ultimi danni provocati alla Regia Marina dalla disastrosa gestione non solo di un intervento bellico voluto dal regime fascista al quale l’Italia era totalmente impreparata, ma anche da un disastroso armistizio firmato nella massima segretezza dal generale Castellano il 3 settembre del 1943, ben 5 giorni prima della proclamazione ufficiale, obbligata, del maresciallo Badoglio. L’annuncio di Radio Algeri dello stesso generale Eisenhower ne aveva forzato i tempi.

Una delle cause fondamentali della tragedia cominciata con l’affondamento della nave Roma è da attribuirsi principalmente alla mancata conoscenza delle trattative in corso con gli alleati del Capo di Stato Maggiore e ministro della Regia Marina, ammiraglio Raffaele De Courten, e la mancata partecipazione alle stesse di esponenti della Marina che avrebbero potuto almeno far presente la necessità ineludibile di una copertura aerea alla flotta in navigazione.

La testarda insistenza, dopo aver firmato e accettato le clausole di un armistizio senza condizioni, di voler concentrare la flotta del Tirreno in acque della Sardegna invece di farla navigare verso Bona in Algeria a incontrare la flotta alleata, come stabilito tassativamente dalle clausole, confidando fino all’inverosimile nella capacità di convincere i vincitori di fare quello che avevano pensato loro, fu una presunzione che aggravò ancora di più ogni cosa.

La confusione, le ambiguità, la mancanza di informazioni e di coordinamento tra Supermarina, i comandi della flotta e delle basi a terra, in particolare del Nord Sardegna, compresa l’inettitudine di alcuni alti comandanti, nonostante numerosi atti di valore individuale di molti, hanno determinato quella immane tragedia che dopo quasi settant’anni ancora turba le coscienze di molti italiani e non sopisce la rabbia degli ultimi sopravvissuti, che ancora si domandano il perché.

La Seconda Guerra Mondiale ebbe un costo di vite umane per la Regia Marina  di trentatremila  morti dispersi nel Mare Mediterraneo ai quali bisogna aggiungere oltre ventitremila soldati dell’esercito trasportati sulle navi verso i vari fronti di guerra.
Dal mese di giugno 1940 alla fine di settembre 1943 la Regia Marina aveva perso all’incirca 390 unità per un totale complessivo di circa 470.500 tonnellate di naviglio.

Bibliografia

Le Memorie dell’Ammiraglio De Courten USMM editore.
Una tragedia Italiana di Andrea Amici Longanesi editore.
Le Navi da Guerra italiane internate alle Baleari dopo l’8 settembre di Giuliano Marenco Lampi di stampa editore.
La Battaglia che non fu Mai di Gian Carlo Tusceri Paoli Sobra  editore.
Fucilate gli Ammiragli di Gianni Rocca Mondadori editore.
Per l’Onore dei Savoia di Arturo Catalano Gonzaga Mursia editore.

Articolo di Mario Cappa