Notizie ANMI Carrara

NAVI HOME

A.N.M.I.- Associazione Nazionale Marinai d'Italia
Gruppo di CARRARA- Medaglia d'oro V.M. "Alcide PEDRETTI"
Viale C. Colombo 6/A -54033 Marina di Carrara

Tel. 0585 782573 Fax 0585 782574 (anmicarrara@gmail.com)

A.N.M.I.-Associazione-Marinai-d'Italia: Gruppo di Carrara

ti dà il benvenuto a "bordo" del suo sito.

LA MARINA ITALIANA COLPI' SEBASTOPOLI NELL' OTTOBRE 1955

Repubblica — 07 aprile 1992   pagina 18  sezione: POLITICA ESTERA

MOSCA - Fu il principe Junio Valerio Borghese con il suo gruppo di "uomini rana" a piazzare la bomba che fece saltare in aria nel porto di Sebastopoli la nave ammiraglia della flotta del Mar Nero? Come in un giallo di Fleming, lo storico russo "Nikolaj Cercashin" ha ricostruito ieri mattina sulle pagine di un giornale moscovita gli incredibili retroscena politici, umani, polizieschi ed economici che nella notte del 29 ottobre 1955 avrebbero spinto la Marina italiana a compiere una delle sue più grandiose operazioni di diversione del dopoguerra, distruggendo con una carica di mezza tonnellata di tritolo la Corazzata "Giulio Cesare", passata nelle mani dei russi dopo la guerra e rinominata "Novorossijsk". Sugli architetti e gli autori dell' operazione, lo storico non ha dubbi: James Bond fu il principe Borghese e la sua squadra era composta da quatro ufficiali scaltri ed esperti, che rispondono ai nomi di Gino Birindelli, Elios Toschi, Luigi Ferraro ed Eugenio Volk. Ma per poter iscrivere la vicenda nei libri di storia, Nikolaj Cercashin chiede all' Italia di aprire i suoi archivi e confermare con i documenti, 37 anni dopo, quello che "tutti i marinai della Flotta di Sebastopoli sanno già". Secondo la ricostruzione pubblicata dal settimanale "Sovershenno Secretno" (Top Secret), i fatti andarono così:
Il principe Valerio Borghese, già comandante della famosa X° Mas, la flottiglia che fece strage di navi nemiche durante la Seconda guerra mondiale, avrebbe raggiunto le acque territoriali sovietiche nel Mar Nero, con un gruppo di sottomarini "tascabili". Da lì, quattro uomini rana sono partiti in direzione della baia di Sebastopoli, a bordo di due "maiali", i mezzi d' assalto usati dalla Marina italiana per l'attacco del naviglio all' interno dei porti nemici: un grosso siluro guidato da persone munite di attrezzatura subacquea. Una volta giunti nel porto, gli esperti sommozzatori italiani si sarebbero appostati sotto una delle tante navi all' ancora, in attesa che la ex "Giulio Cesare" facesse ritorno alla base. A quel punto, hanno istallato una bomba ad orologeria sul fondo della nave e sono fuggiti a largo o, secondo un' altra versione, addirittura verso terra, dove li attendeva un rifugio sicuro. Quando l' ordigno è esploso, ha fatto saltare una seconda bomba nascosta in una saldatura segreta nel ventre della "Giulio Cesare". E la nave si è piegata in due in un inferno di lamiere e di fuoco, colando a picco in pochi minuti e causando la morte di seicento persone. Per quanto possa sembrare incredibile, secondo lo storico la seconda bomba, di impatto ben più devastante della prima, era rimasta nascosta nella stiva della nave per nove anni, senza che i marinai sovietici se ne accorgessero. Quando la "Giulio Cesare" fu consegnata alla flotta del Mar Nero come riparazione dei danni di guerra da parte italiana, il comando sovietico sospettò che la nave potesse essere minata. Le ricerche di un possibile ordigno durarono mesi e le testimonianze dei marinai raccolte dallo storico affermano che fu individuata una strana saldatura fatta da poco tempo nella stiva. Ma per deficienze tecnologiche e per la cronica disorganizzazione del sistema burocratico militare le indagini finirono nel nulla. Nikolaj Cercashin afferma che ci sono dati di fatto e prove concrete per dimostrare che la "Giulio Cesare" è stata affondata dai "maiali" del Comandante Borghese e aggiunge che l' Operazione fruttò all' Italia la vendita di ben 60 sottomarini tascabili in tutto il mondo. Ma lo storico cita anche una dimostrazione più romantica e irrazionale a conferma della sua tesi: l' ex nave italiana esplose nella notte che secondo la tradizione simboleggia la "vendetta delle stelle". "Come Giulio Cesare, la nave che portava il suo nome non poteva che essere annientata dai suoi stessi concittadini". - dal nostro corrispondente FIAMETTA CUCURNIA

Vi consiglio di leggere questa ulteriore ipotesi trovata su INTERNET:

IL TENTATO AFFONDAMENTO DELLA “CRISTOFORO COLOMBO” E IL MISTERIOSO AFFONDAMENTO DELLA EX “GIULIO CESARE
LA CONSEGNA DELLE NAVI, IL MITO DELLA “CRISTOFORO COLOMBO”
di Francesco FATICA

Quando giunse l’ordine di andare a Malta, pur avendo avuto assicurazioni che non si trattava di una resa, che non sarebbe stata ammainata la bandiera, pur avendo gli ammiragli di Supermarina invocato il bene supremo della Patria ed altre considerazioni poi rivelatesi menzognere, il dissenso tra gli ufficiali e tra i marinai era stato tanto preoccupante da costringere qualche ammiraglio, prono agli ordini del monarca in fuga, a far montare scolte armate di guardia alle riservette delle munizioni e delle armi portatili, paventando sabotaggi o sommosse ed ammutinamenti in navigazione, quali effettivamente avvennero sulla corazzata Giulio Cesare. Poi ci pensarono gli ottusi attacchi dell’aviazione tedesca a togliere a qualche marinaio ogni residua voglia di tener fede alla parola data. Tuttavia quando si seppe della consegna delle navi a potenze straniere, ed in particolare all’URSS, il fermento della reazione ricominciò a montare tra gli equipaggi. Nel 1947 le navi da cedere alla Russia, in attesa della consegna, erano ancorate nella base navale di Taranto sotto stretta sorveglianza, che si esplicava per mezzo di ronde, sia sulla banchina che in tutto il porto; inoltre erano state anche disposte riservate perlustrazioni e controlli dei servizi segreti della Marina Militare in città e nei dintorni, tenendo d’occhio particolarmente ambienti fascisti. Di più, intorno alle navi avvenivano continue ispezioni subacquee con palombari e uomini-rana, per il timore che elementi dissenzienti della stessa Marina Militare potessero applicare alla carena delle navi ordigni esplosivi in grado di provocarne l’affondamento.
I giovani dei Far [Fasci d’Azione Rivoluzionaria, movimento clandestino sorto nel dopoguerra.], guidati da Clemente (Lello) Graziani e Franco Dragoni, avevano preso di mira la nave scuola “Cristoforo Colombo”, che aveva allenato e addestrato alla vita di mare decine e decine di generazioni di ufficiali, i quali si erano arrampicati sulle sartie dei suoi tre alberi per manovrare le vele secondo la più classica e audace tradizione marinara.
La “Cristoforo Colombo” quindi era un mito, rappresentava tutta la Marina Militare italiana; bisognava sottrarla all’onta della cessione allo straniero, onta che feriva l’orgoglio nazionale e veniva aggravata dal fatto che questo paese straniero era la culla del comunismo. Ma il piano dei giovani “faristi” venne scoperto dai servizi segreti della Marina Militare in stretta collaborazione con polizia e carabinieri, i quali avevano da tempo infiltrato talpe nei Far. Il 20 gennaio 1949 vennero arrestati a Taranto lo studente universitario Clemente Graziani ed il motorista Biagio Bertucci, mentre a Roma la polizia arrestò altri cinque ex marò proprio quando, alla stazione Termini, stavano per prendere il treno per Taranto. Erano Paolo Andriani, Sergio Baldassini, Fabio Galiani, Fabrizio Galliani, e Alberto Tagliaferro, reduci del battaglione “Barbarigo” della X Mas; che si erano coperti di gloria sul fronte di Nettuno nel ’44. Nelle valigie vennero trovati sette chili di tritolo. Un altro reduce della X Mas, Vladimiro Villani, venne arrestato a Lecce il 25 gennaio e nei giorni seguenti finirono in manette altri sette congiurati che si preparavano a far la loro parte. Tra essi Franco Dragoni e lo studente Antonio Ajroldi, figlio di un noto magistrato.
A Taranto e a Roma avvennero clamorose manifestazioni di solidarietà per gli arrestati, manifestazioni tumultuose anche a Bari e a Brindisi. A Roma, in particolare, scoppiarono violenti scontri con la “Celere” con lanci di pietre e anche, in qualche caso, con corpo a corpo furibondi. Gli scontri si protrassero per tutta la giornata in tutto il centro cittadino.
La “Cristoforo Colombo”, poi, una volta acquisita dalla flotta sovietica, fu addirittura disalberata e adibita al trasporto di carbone. Supremo oltraggio per la Marina italiana, ma anche palese e ignominiosa mancanza di tradizioni marinare nella Marina sovietica e chiara ammissione di incapacità di manovrare un classico trealberi attrezzato con vele quadre. P.S. se questo Forum non avesse programmi di censura automatica saprei io quale espressione tipica siciliana mandare ai russi!!!

IL MISTERO DELL’AFFONDAMENTO DELLA EX “GIULIO CESARE”

Ma molti anni dopo il fallito tentativo di affondare la “Cristoforo Colombo” da parte del gruppo di Clemente Graziani, una misteriosa esplosione nella base navale sovietica di Sebastopoli fece pensare che i marinai d’Italia non avevano dimenticato.
Verso le ore 22 e 55 ( minuto più, minuto meno ) del 28 ottobre 1955 la corazzata ”Novorossijsk” (ex “Giulio Cesare”, ceduta all’URSS in esecuzione del trattato di pace) fu squarciata da una fortissima esplosione – registrata anche dai sismografi della Crimea – che perforò lo scafo, le piattaforme e tutti i ponti della parte prodiera della nave da battaglia, provocando una falla spaventosa: (48 mq.circa).
 All’epoca si parlò di una mina da fondo tedesca, che sarebbe stata urtata da un’ancora della stessa nave, ma questa ipotesi si rivelò insostenibile poichè la “Novorossijsk” era ormeggiata alla boa N°5 e quindi «non aveva dato fondo all’ancora» ( amm. B. N. Bobkov).
Ma anche altri, a cominciare dallo stesso amm. Kuznetsov, comandante in capo della flotta sovietica, si dimostrarono scettici in proposito. Ancora più concretamente l’amm. Bobkov, a conclusione delle sue riflessioni, ( citate nella nota 3) accreditò l’ipotesi di un sabotaggio ad opera di una squadra di incursori della Marina Italiana.
Nel 1992 su Il Tempo dell’8 aprile fu riportata una “smentita” dell’amm. Gino Birindelli ad un articolo sull’argomento, apparso sulla stampa a Mosca, suscitando vivo interesse anche all’estero. Birindelli affermava testualmente:«Magari fossimo stati noi ad affondare la corazzata Giulio Cesare, che avevamo dovuto cedere all’ Unione Sovietica in conto riparazioni danni di guerra! Le presunte rivelazioni del settimanale moscovita “Soverenho Secretno” [top Secret, n.d.a.], sono una patacca, una patacca navale»
Secondo Nicolaj Cercashin, autore dell’articolo, la nave da battaglia sarebbe stata minata da un gruppo di uomini–rana agli ordini di Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Flottiglia Mas. Il gruppo sarebbe stato composto da Gino Birindelli, Elios Toschi, Luigi Ferraro M.O.V.M., ed Eugenio Wolk [comandante dei “gamma”, gli uomini-rana della R.S.I.]: un’equipe di prim’ordine, non c'è che dire, ma soltanto frutto di fantasia.
Il giornalista russo ipotizzava un attacco portato con sommergibili tascabili, che avrebbero trasportato gli incursori nei pressi del bersaglio. Tale dettaglio tecnico pare poco attendibile, perchè avrebbe comportato la disponibilità di mezzi di difficile reperimento, dovendo ovviamente escludere la complicità della Marina Militare italiana; tuttavia, se trascuriamo per il momento le modalità di avvicinamento al bersaglio, vorrei esporre prioritariamente considerazioni di carattere generale:
1) Se accettiamo l’ipotesi, ovviamente la più concretamente attendibile, che l’amm. Birindelli effettivamente non abbia partecipato all’azione clandestina di sabotaggio, ciò non esclude però che altri, senza che lui ne abbia saputo nulla, abbiano potuto partecipare al raid. Esistevano infatti nel 1955 più di un centinaio di ex combattenti della XMas che erano stati istruiti, preparati e allenati severamente per l’attività di incursori; si trattava di ex appartenenti al ”Gruppo Gamma”, che nel 1955 erano ancora vegeti e vitali, meno anziani dei “campioni” citati dal giornalista russo e sempre ferventi di sacro sdegno per l’onta ricevuta dalla Marina sovietica.

2) Comunque questi altri ipotetici incursori che avessero voluto rivendicare la responsabilità dell’azione sarebbero stati costretti a tacere per non soccombere alle incalcolabili, ma imprevedibili responsabilità di ordine morale, penale e civile, conseguenti all’attentato. Infatti il disastro produsse più di seicento vittime tra i marinai dell’equipaggio ed i soccorritori. La tragedia, però, fu aggravata dall’impreparazione dei soccorritori e degli ufficiali della nave stessa, la quale avrebbe potuto essere rimorchiata ad insabbiarsi in bassi fondali, evitando così il capovolgimento, che provocò moltissime vittime rimaste tragicamente intrappolate nella nave.

3) Va inoltre tenuto presente che, se furono incursori italiani a tentare il sabotaggio, ebbero l’enorme vantaggio del fattore sorpresa, in quanto i russi, essendo ormai trascorsi dieci anni dalla fine della guerra, non sospettavano più di essere attaccati e, oltre tutto, nel mar Nero, considerato un lago russo e, a maggior ragione, addirittura nella base di Sebastopoli. Pertanto ufficiali ed equipaggio si sentivano al sicuro, quindi la sorveglianza intorno alla nave era soltanto quella superficiale e formale del tempo di pace. Mentre incursori italiani, come si sa, erano stati capaci di eludere ben più agguerrite e coordinate misure di sorveglianza in tempo di guerra.

4) Inoltre dobbiamo considerare che gli ipotetici incursori conoscevano bene il punto debole della nave, che era stata sottoposta nel 1930 a lavori di totale ristrutturazione, venendo pure allungata di dieci metri, aggiungendo una nuova sezione a prua, al corpo della vecchia corazzata, varata durante la prima guerra mondiale. Questa audace operazione di ingegneria navale, per quanto accurata ed attenta, aveva creato un punto debole proprio nella congiunzione del vecchio scafo con i nuovi elementi strutturali di prua.
E proprio in questo punto fu portato l’attacco.

5) Pertanto Nicolaj Cercashin ipotizzò sagacemente che la carica esplosiva principale fosse stata occultata [in un doppio fondo, n.d.a.] prima della consegna della nave ai russi. E questa non è da considerare un’ipotesi priva di fondamento. Infatti all’epoca vi era molto fermento fra gli equipaggi della Marina Militare, al punto che, durante gli ultimi mesi prima della consegna, gli alti gradi della Marina ritennero necessarie eccezionali misure di sorveglianza, anche alle carene delle navi destinate alla cessione.
In particolare la “Giulio Cesare” fu sottoposta ad un regime di strettissima sorveglianza: addirittura un rimorchiatore girava continuamente intorno alla nave giorno e notte, provvedendo a far immergere palombari ogni mezz’ora per ispezionarne la carena[6]. Questo fatto conferma l’ipotesi che gli ammiragli avessero avuto sentore di un probabile attacco proprio alla “Giulio Cesare”.
Qualche ammiraglio, infatti, aveva avuto percezione dei propositi di molti fra marinai ed ufficiali in servizio. Pertanto, fu stabilito un regime di oculatissima vigilanza e quindi fu d’uopo per gli ipotetici aspiranti sabotatori rimandare l’operazione; ma non è da escludere perciò che possa essere stato preparato un adeguato sussidio per un’azione futura.
Va considerato ancora che i russi avevano una conoscenza molto superficiale di alcuni elementi strutturali dell’unità poichè i documenti tecnici sui materiali impiegati erano redatti soltanto in italiano. Si può quindi ragionevolmente ipotizzare che non tutti i doppi fondi della corazzata siano stati ispezionati. Dobbiamo concludere inoltre che il giornalista russo, avendo intervistato molti esperti, abbia avanzato la sua ipotesi a ragion veduta.
Ricordo poi che, se c’erano pure stati collegamenti trasversali clandestini tra ufficiali della Decima al Nord e ufficiali della Marina del Sud già prima del 1945; a maggior ragione scambi di vedute e collegamenti avrebbero potuto esserci stati dopo per macchinare un sabotaggio.
Pertanto concordo pienamente con quanto ha scritto Uccio de Santis su questa ipotizzata incursione: «La nave sarebbe stata minata da un gruppo di incursori italiani per riscattare l’onta della consegna. I particolari dei danni rilevati nell’opera viva, la dinamica degli avvenimenti, il giorno dell’incidente confermano e non smentiscono l’ipotesi».[7]
6) Consideriamo adesso le furbesche manovre effettuate dagli ammiragli russi per occultare la data del sabotaggio.
 L’attentato, come si è detto, fu portato ad effetto molto prima della mezzanotte del 28 ottobre, ma versioni successive ne hanno ritardato scaltramente di più di un’ora l’indicazione (lasciandola tuttavia nel vago per non dover citare una data molto significativa). Distrattamente però qualcun altro è stato preciso, poi, nell’indicare l’ora del capovolgimento della nave, che avvenne alle ore 1,40. Sennonchè si è specificato pure, sempre più distrattamente, che avvenne «due ore e 45 minuti dopo lo scoppio della carica esplosiva», e con ciò si conferma che lo scoppio avvenne alle ore 22,55 del 28 ottobre. Risulta evidente dunque che si è voluta mascherare una data troppo suggestiva.
7) A questo punto s’impone citare il libro di V.A. Dardjavin che affronta provocantemente la tesi «di un atto di sabotaggio»
8) Il contrammiraglio Armando Vigliano, nel recensire il libro citato, scrive: «Per valutare la possibilità di questa tesi, [sabotaggio n.d.a.] nel capitolo quinto, si parla dei mezzi d’assalto italiani e britannici, dei siluri umani, delle azioni contro le corazzate “Valiant” e “Queen Elzabeth” e dell’attacco alla “Tirpitz”.
Essendo ben chiaro che gli inglesi non avrebbero avuto alcun interesse ad attaccare una nave russa – e tanto meno poi proprio la ex “Giulio Cesare” e comunque addirittura il 28 ottobre – trascuro considerazioni sulle deficienze operative dei siluri umani inglesi, i cosiddetti chariots (dal nome dei sigari di Churchil ), nemmeno lontanamente paragonabili a quelli italiani di cui erano una mal riuscita imitazione.
I mezzi insidiosi di assalto italiani, usati con successo, durante la seconda guerra mondiale, erano i Siluri a Lenta Corsa (S.L.C.), soprannominati ”maiali”, sostituiti poi dai perfezionati e potenziati S.S.B. (Siluri San Bartolomeo). Come molti sanno, si trattava essenzialmente di siluri che portavano due arditi operatori a cavalcioni. La testata esplosiva di questi ordigni si poteva staccare per agganciarla al di sotto della carena della nave aggredita.. L’autonomia di questi mezzi poteva essere di sei miglia marine (poco meno di 12 km.), che si percorrevano normalmente in tre ore.
Non mi pare assurdo ipotizzare che qualche irriducibile gruppetto di marò e di ufficiali della XMas abbia deciso di occultare uno o più S.L.C. , o anche meglio, S.S.B., prima del crollo del fronte nel ’45, in attesa di poterli utilizzare alla volta buona, analogamente a quanto altri fascisti fecero – certo più facilmente - con le armi leggere e forse anche pesanti , come sicuramente avvenne per i partigiani.
Per quanto riguarda l’ipotesi dell’uso di minisommergibili si potrebbe ammettere, per completezza, l’acquisto di un moderno minisommergibile civile – per uso turistico, scientifico, di lavoro – ma, in ogni caso, questa ipotesi comporta l’esistenza di un’adeguata organizzazione di sostegno, che potrebbe soltanto congetturarsi nella CIA. Mentre un intervento limitato ad un piccolo gruppo indipendente potrebbe essere ipotizzato intorno al trasporto prima ed all’uso poi, di un “maiale” o anche meglio di un S.S.B.. Il trasporto in zona d’operazioni potrebbe essere avvenuto con un piccolo mercantile, con un peschereccio, ma anche con un piccolo yacht, finanche a vela, agganciandolo sotto la chiglia. Non escluderei neanche il trasporto a distanza operativa di uomini–rana e delle relative cariche esplosive.
Esaminate tante ipotesi praticabili, il più profondo mistero rimane nel come è stato effettuato il sabotaggio, ma traspare abbastanza chiaramente la “matrice fascista”, secondo una colorita dizione in uso da certi gazzettieri dell’epoca. Purtroppo l’azione progettata per lavare l’onta della Marina italiana, comportò una strage aggravata da una pesante incompetenza navale dei russi, che non si poteva prevedere.
Ecco quel che dice Sergio Nesi in questi giorni riguardo alla "notizia" ripresa da alcune agenzie di stampa:"(...) Già anni prima era apparsa la medesima notizia, con la quale però si facevano anche alcuni nomi: naturalmente Junio Valerio Borghese (che entra sempre dappertutto), Mario Arillo, Eugenio Wolk, Nino Buttazzoni e via dicendo. Insomma, tutto il gotha della Decima.
 Non c'ero io. E ricordo di avere scritto subito al comandante Arillo una vibrata protesta per il fatto che se ne era andato ad affondare una corazzata sovietica...senza dirmi nulla! Arillo si scusò per la distrazione nell'invito a partecipare a quell'impresa (...)". Il Com.te Nesi è, una volta di più, un mito
Qualunque cosa sia realmente successa mi piace e voglio pensare che, in un modo o nell'altro, siamo stati noi.

 

Alle le ore 22 e 55 ( minuto più, minuto meno ) del 28 ottobre 1955 la corazzata ”Novorossijsk” (ex “Giulio Cesare”, ceduta all’URSS in esecuzione del trattato di pace) fu squarciata da una fortissima esplosione – registrata anche dai sismografi della Crimea – che perforò lo scafo, le piattaforme e tutti i ponti della parte prodiera della nave da battaglia, provocando una falla spaventosa: (48 mq.circa).

Vent’anni fa esatti scompariva in Svizzera un grande italiano, non abbastanza ricordato, che moltissimo fece per la patria, per la Marina militare italiana, per il progresso tecnologico del nostro Paese: Eugenio Wolk. Eugenio Wolk, nato Wolkoff nel 1915, conobbe presto le ingiustizie della vita. A soli due anni fu costretto a fuggire dalla sua terra, l’Ucraina, a causa della rivoluzione d’ottobre: apparteneva infatti a una famiglia nobile che in gran parte fu sterminata dalle Guardie Rosse. Fuggì quindi dalla natìa Cernigov con mezzi di fortuna per riparare inizialmente a Costantinopoli, poi a Taranto e infine a Roma, dove ottenne la cittadinanza italiana. A soli 18 anni, nel 1933, si arruola nella Regia Marina. Partecipa nel 1936 alla guerra di Spagna e con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale partecipa alla battaglia di Punta Stilo del luglio 1940. Nel dicembre dello stesso anno fu assegnato alla I Flottiglia Mas(che in seguito sarebbe divenuta Xa) dove partecipò all’istituzione del celebre Gruppo Gamma, comandato da Angelo Belloni, una forza speciale di nuotatori d’assalto che si addestravano segretamente alla Spezia. Sono in pratica i pionieri della subacquea e i primo sommozzatori nacquero lì. Il Gamma rappresenta anche il primo nucleo degli incursori della Marina. Fu proprio durante il massacrante addestramento dei sub a Eugenio Wolk venne un’idea: poiché la marcia sul fondale fangoso con gli autorespiratori (il famoso autorespiratore Aro, pur essendo stato progettato da un inglese, fu adattato per la prima volta all’uso subacqueo dal gruppo Gamma) si dimostrò poco pratica e pericolosa, si pensò di trasportare i mini-sommergibili su un sommegibile più grande fino a una certa distanza dall’obiettivo, e poi raggiungere il porto a cavallo dei mini-sommergibili e piazzare l’esplosivo a nuoto. Il tutto di notte per non essere visti. Anche per questo gli incursori subaquei dovevano indossare mute scure e pinne scure (le pinne tra l’altro furono perfezionate proprio da Wolk), immagine che suggerì agli inglesi il termine di frogmen, gli uomo-rana, quando videro nel porto di Alessandria il tenente di vascelloLuigi Durand De La Penne e il capo-palombaro Emilio Bianchi che gli fecero saltare la corazzata Valiant. Ma questa è un’altra storia.

 

Dopo la guerra Wolk emigrò in Argentina dove fondò gli incursori

La Decima Mas portò moltissimi quanto eroici attacchi nei porti nemici, e il loro progetto era di arrivare sin dentro il porto di New York, progetto che avrebbe avuto un impatto psicologico enorme tra gli “alleati”. Ma l’azione, per varie ragioni, non si concretizzò. Dopo l’8 settembre 1943, Eugenio Wolk incontrò a Livorno il comandante Junio Valerio Borghese, al quale rappresentò la sua intenzione di ricostituire i Gamma nella Repubblica Sociale Italiana. Cosa che fu realizzata, con grandi progressi in campo tecnico. Le operazioni e il comportamento della Decima suscitarono il rispetto dei nemici, e in particolare dell’omologo di Wolk in campo inglese, il famoso sub Lionel “Buster” Crabb, frogman della Royal Navy, che poi scomparve in circostanze misteriose nel 1956. Ma questa è ancora un’altra storia. Comunque Crabb e gli inglesi capirono che avrebbero dovuto utilizzare le risorse, le competenze e la tecnologia degli incursori della Decima, per cui trattarono con Wolk la resa dell’unità, considerandoli prigionieri sulla parola e affidando loro l’incarico, delicatissimo, di sminare la baia di Venezia e di recuperare del naviglio affondato dai tedeschi. Per svolgere questo incarico Wolk e gli altri furono inquadrati nella Allies Navies Experimental Station, cosa che garantì loro una certa immunità. Nei due anni successivi il gruppo si conquistò grandissime benemerenze, per aver svolto quel rischioso lavoro in modo esemplare, ma Wolk decise di emigrare, in quanto come combattente della Rsi non gli sarebbe stato consentito di rientrare in Marina e probabilmente sarebbe stato anche perseguito. Andò quindi, era il 1947, con tutta la famiglia in Argentinasulla motonave Ugolino Vivaldi, dove, come consulente tecnico della locale Marina militare, istituì il primo nucleo degli incursori militari, gli hombres ranas, apportando anche importanti modifiche tecniche ai mezzi e fondando la Scuola per palombari e sommozzatori. A Wolk arrivarono numerosi riconoscimenti dal governo argentino. Nel 1961 Wolk rientrò in Europa, stabilendosi in Svizzera, nel Canton Ticino, dove morì il 17 giugno del 1995. Su di lui è stato fatto un interessantissimo libro, Eugenio Wolk “Lupo”, Comandante dei Gamma della Xa Mas, a cura di Bruna Pompei. Per concludere, non si può non ricordare che Wolk, insieme ad altri suoi camerati, Junio Valerio Borghese (nella parte del “regista”) Gino Birindelli, Elios Toschi, Luigi Ferraro, fu accusato nel 1992 da uno storico russo di essere l’autore dell’esplosione della nostra nave Giulio Cesare nel porto sovietico di Sebastopoli, esplosione avvenuta nel 1955. Tutti ovviamente respinsero le accuse. Ferraro la definì una “patacca” russa. La nave probabilmente urtò contro una mina presente nelle acque del porto, oppure la gestione del munizionamento non fu prudente da parte dei sovietici.

EUGENIO WOLK
www.marinai.it/navi/navstab/colombo.pdf
Comandante di sommergibile, già distintosi per capacità ed ardire in altre missioni di guerra. Assegnato con la sua unità alla X Flottiglia M.A.S. si dedicava con intelligenza, capacità e tenacia alla preparazione del sommergibile al suo comando, forgiandone un'arma perfetta nello spirito e capacità dell'equipaggio e nell'efficienza del materiale. Si distingueva una prima volta, trasportando con successo un reparto d'assalto destinato ad agire entro un porto nemico del mediterraneo Orientale. Successivamente accoglieva con entusiasmo l'incarico di eseguire analoga missione contro un importante porto del Mediterraneo Occidentale. Ostacolato dal maltempo, privo di informazioni esatte, tenacemente attendeva per più giorni nei pressi del porto nemico il momento favorevole, finché, sfuggendo alla sorveglianza nemica, portava la sua unità fino a poche centinaia di metri dal porto nemico e vicinissimo ad unità da guerra e mercantili ancorate in rada. Poteva lanciare così verso il sicuro successo un grosso reparto d'assalto che riusciva ad operare nell'interno del porto e in rada. Animato da alto senso di umanità e di cameratismo, restava sul posto per molte ore, in fondali bassissimi e quindi impossibilitato a difendersi in caso di scoperta, per tentare il ricupero del reparto stesso e desisteva dal generosissimo tentativo, solo quando il nemico, avvistati gli assaltatori di ritorno, giunti già a pochi metri dal sommergibile, iniziava una violentissima reazione. Con mirabile calma e con somma perizia, riusciva ad eludere la ricerca nemica e riportava incolume alla base l'unità al suo comando. Mediterraneo, maggio - dicembre 1942 Nacque a La Spezia il 25 marzo 1912. Allievo all'Accademia Navale di Livorno dall'ottobre 1927, nel luglio 1932 conseguì la nomina a Guardiamarina stando imbarcato sull'incrociatore Trieste. Dall'aprile al maggio 1933 svolse l'incarico di Ufficiale in 2a sulla torpediniera Stocco e nel luglio, promosso Sottotenente di Vascello, imbarcò nuovamente sul Trieste. Dal settembre 1933 all'ottobre 1934 imbarco sull'esploratore Giovanni da Verazzano. Dopo aver frequentato presso l'Accademia Navale il Corso Superiore, nel luglio 1935 prese imbarco, nell'incarico di Ufficiale alle comunicazioni sul cacciatorpediniere Dardo e nell'aprile 1936 fino al novembre dello stesso anno assolse l'incarico di Ufficiale in 2a sul sommergibile H.2 di base a La Spezia. Dal novembre dello stesso anno al luglio 1938 imbarcò successivamente sugli incrociatori Trento, Trieste dove conseguì la promozione a Tenente di Vascello nel luglio 1937, e sul Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi dove, per un periodo di 6 mesi svolse l'incarico di Aiutante di Bandiera dell'Ammiraglio Comandante la 3a Divisione Navale. Dal luglio 1938 al settembre 1940 venne destinato in Accademia navale, quindi imbarcò sul sommergibile Ettore Fieramosca per Scuola Comando: il 19 gennaio 1941 assunse il comando del sommergibile Ambra, mantenendolo anche nel grado di Capitano di Corvetta, al comando del quale compì ardite missioni per trasporto operatori e mezzi speciali della X Flottiglia MAS nei porti di Alessandria (maggio 1942) e Algeri (dicembre 1942). Nel giugno 1943 assunse il comando del sommergibile S.5 e lo mantenne fino all'8 settembre dello stesso anno. Rimasto, dopo l'armistizio nell'Italia settentrionale controllata dalle forze tedesche, aderì alla R.S.I., al termine del conflitto passo nella riserva navale, conseguendo in questo Ruolo le promozioni a Capitano di Fregata e di Vascello. Altre decorazioni e riconoscimenti per merito di guerra: Medaglia d'Argento al Valore Militare (Mediterraneo orientate, marzo 1941); Medaglia d'Argento al Valore Militare (Mediterraneo orientate, maggio 1942); Medaglia di Bronzo al Valore Militare (Mlediterraneo, settembre 1940 - settembre 1941); Promozione al grado di Capitano di Corvetta;Croce di Ferro tedesca di 2a Classe.
Mario ARILLO
Tenente di Vascello
M.O.V.M.
T.V. Mario ARILLO
EUGENIO WOLK