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Sul tema del disarmo, e sul quello navale in particolare, si affaticò, senza conseguire alcun risultato pratico, la Società delle Nazioni per circa un quindicennio. Il disarmo navale aveva coagulato il maggior interesse delle grandi potenze sia perché il costo raggiunto dalle unità militari era divenuto cosi elevato da essere difficilmente compatibile con le esauste finanze di tutti gli Stati.

La Marina italiana aveva terminato con 450 mila tonnellate di naviglio militare contro le 700 mila della Marina francese
, e nessuna delle due nazioni aveva in previsione programmi di sviluppo delle rispettive Flotte.

La Marina britannica, alla fine del 1918, possedeva 2 milioni di tonnellate di naviglio, mentre Stati Uniti e Giappone erano in piena competizione con programmi in via di attuazione che avrebbero portato nel breve volgere di alcuni anni la Marina americana da 1,5 milioni di tonnellate di naviglio a 2,5 milioni  e quelle giapponese da 0,7 a 1,5 milioni di tonnellate.


In questo contesto ebbe successo l'iniziativa degli Stati Uniti che, in linea con quelli che erano i principi del disarmo contenuti nello Statuto della Società delle Nazioni, convocarono a Washington una conferenza avente per oggetto "la limitazione degli armamenti"  e "le questioni collegate del Pacifico e dell'Estremo Oriente" invitando a parteciparvi oltre alla Gran Bretagna, Giappone, Francia ed Italia.

La conferenza, che si svolse dal 12 novembre 1921 al 6 febbraio 1922 nella capitale americana, sanzionò quattro tipi di accordi che le cinque grandi potenze si impegnarono a rispettare per 25 anni.

La prima intesa, stabilendo una precisa gerarchia tra le cinque potenze navali, fissò per ciascuna di esse un limite massimo di tonnellaggio riferito a corazzate e portaerei. In particolare fu assegnata agli
Stati Uniti e alla Gran Bretagna una quota di 525 mila tonnellate. di corazzate e 175 mila tonnellate. di portaerei;
al Giappone 315 mila tonnellate. di corazzate e 81 mila di portaerei;
infine a Francia e Italia 175 mila tonnellate. di corazzate e 60 mila di portaerei. Tale limite doveva essere raggiunto entro il 1931 e per tale data tutte le unità sia in linea che in costruzione eccedenti a questi tonnellaggi dovevano essere demolite.


Il secondo accordo riguardò le limitazioni qualitative che stabilivano per ogni specifico tipo di unità sia il limite superiore del calibro delle artiglierie imbarcate sia il dislocamento massimo.

La terza intesa raggiunta instituì una cosiddetta "vacanza navale" di 10 anni durante i quali nessuno avrebbe potuto mettere in cantiere corazzate ne comunque unità di dislocamento superiore alle 10.000 tonnellate. Fu inoltre stabilito che Francia e Italia, tenendo conto della minore efficienza delle loro corazzate, avrebbero potuto costruirne due nuove, anche durante il decennio della vacanza navale, ma non prima del 1927.

La quarta convenzione riguardò l'Estremo Oriente ed in particolare il superamento dell'ormai anacronistica alleanza bilaterale anglo-nipponica del 1902, che, nata in chiave anti-russa, si era trasformata successivamente in anti-tedesca, e con la sconfitta tedesca, poteva considerasi in funzione anti-americana.


Gli Stati Uniti furono considerati i veri trionfatori della conferenza avendo conseguito gli obiettivi della loro politica nel Pacifico e posto un freno, anche se parziale, alla corsa agli armamenti ed ottenuto contemporaneamente il riconoscimento della parità navale con la Gran Bretagna e di una netta superiorità  sul Giappone.

Il Giappone, è stato scritto, fu il gran vinto della conferenza, in quanto fu costretto ad accettare un rapporto di forze nettamente inferiore alle sue aspirazioni, a rinunciare all'alleanza con la Gran Bretagna e, soprattutto, alle posizioni  di privilegio che aveva nel tempo acquisite in Cina

Fiera del suo passato la Francia, che era tuttora la seconda potenza coloniale del mondo,  si sentì invece ferita dal trattato e umiliata dall'Italia che, con il supporto della Gran Bretagna e degli Stati Uniti era riuscita  ad imporle la parità navale.

Nel nostro paese le clausole navali del trattato furono salutate con viva soddisfazione: si era trattato di un rilevante successo politico che corrispondeva alle potenzialità tecniche che il paese poteva mettere in campo. Senza dubbio era stata la posizione sostenuta dall'Italia, potenza chiusa nel Mediterraneo e dipendente per la sua sopravvivenza dal flusso di rifornimenti via mare, che aveva dato una solida base alla richiesta di parità con la Francia, considerata a quel tempo l'unica probabile avversaria. E' bene sottolineare che l'ipotesi di un conflitto con la Gran Bretagna non fu mai presa in considerazione dai responsabili della Marina, almeno fino al 1935.

Altro aspetto considerato favorevolmente fu la "vacanza navale" con la sospensione della costruzione di corazzate che la provata economia italiana, non avrebbe comunque potuto affrontare.

Il dissenso franco-italiano conseguente al trattato di Washington si spostò a poco a poco dal campo tecnico a quello di prestigio, rinfocolando anche vecchi antagonismi. A parte le datate rivendicazioni sui confini, l'Italia imputava alla Francia, che si era sempre opposta alla revisione delle clausole del trattato di pace, il fatto di non aver ottenuto compensi territoriali adeguati per la sua partecipazione al conflitto a fianco degli alleati. Tale contrasto condizionò pesantemente la politica navale delle due nazioni, soprattutto quella francese, anche se le sue maggiori preoccupazioni in termini di sicurezza nazionale furono comunque rivolte a ricercare garanzie nei confronti della Germania.
In uno studio segreto del 1927, sulla base di un ipotesi di conflitto che l'avrebbe vista opposta ad una coalizione italo-tedesca con l'Inghilterra neutrale, la Francia impostò i suoi programmi di costruzione per realizzare una flotta militare di tonnellaggio pari alla somma di quella italiana e tedesca aumentata di 150 tonnellate. per tenere conto delle esigenze di difesa del suo impero coloniale ( era la seconda potenza coloniale). Questo antagonismo condizionò i programmi di costruzioni navali italiane. Ne risultò una spiccata similitudine nelle unità realizzate, in particolare negli incrociatori pesanti tipo Washington. Anche di fronte alla scelta di dotarsi o meno di portaerei glia atteggiamenti delle due marine furono simili con la rinuncia di entrambe a questo tipo di unità, sulla base di convinzioni che il teatro mediterraneo avrebbe comunque consentito nelle operazioni marittime l'impiego di mezzi aerei basati a terra.

Tra la fine del conflitto e il 1923 vennero ordinati ai cantieri solo tre esploratori classe Leone da 1.700 tonnellate e 14 caccia tra i 900 e 600 tonnellate di dislocamento.  ne si poteva pensare di costruire unità di maggior dislocamento perché l'andamento delle operazioni navali nel recente conflitto aveva fatto sorgere non pochi dubbi sulle dottrine  d'impiego delle unità maggiori di superficie. La guerra sul mare aveva chiaramente messo in evidenza l'accresciuto rilievo assunto dalla guerra di mine e dai sommergibili e soprattutto dall'aviazione, anche se non era  stato possibile provare la nuova Arma in azioni belliche.
L'assegnazione della quota di 60.000 tonnellate ottenute a  Washington , concise sul piano politico con cambio di regime e sul piano militare con la soppressione dell'aviazione di marina. Veniva cosi a mancare qualsiasi serio, pacato e responsabile discorso tanto sul ponte di volo quanto sull'aviazione imbarcata.
Il Grande Ammiraglio  e Duca del Mare , Thaon di Revel, accettò di entrare, come Ministro della Marina, nel primo Gabinetto Mussolini.

La presenza di Revel rappresentava una garanzia, poiché egli era convinto assertore dell'aviazione di Marina e, dopo la Conferenza di Washington, sosteneva "in prima linea la necessità della costruzione sollecita di navi portaerei"  Ma queste meditate convinzioni del Grande Ammiraglio  non potevano per se rappresentare un ostacolo insormontabile, qualora il potere politico (come accade) avesse deciso diversamente.
La soppressione dell'aviazione di Marina avvenne per gradi.
Con Regio Decreto n° 62 del 24 gennaio 1923, fu istituito il Commissariato dell'Aeronautica, organo intermedio che doveva "esercitare tutte le attribuzioni del Governo per quanto concerne l'Aeronautica, cosi civile come militare (Esercito, Marina  e Arma Aerea indipendente, che per la prima volta menzionata in un documento ufficiale)".

Nella stessa data del 24 gennaio 1923, con Regio Decreto n°63, il Presidente del Consiglio e Capo del Governo, onorevole Benito Mussolini, fu nominato Commissario per l'Aeronautica e l'onorevole Aldo Finzi Vice Commissario. A far parte del Commissariato furono chiamati ufficiali dell'Esercito e della Marina  che avevano avuto un ruolo di primo piano, prima e durante la guerra.  La Regia Marina era rappresentata dal tenente colonnello del Genio Navale Alessandro Guidoni, dal Capitano di Corvetta Mario Calderara e dal Tenete di Vascello, medaglia d'oro Eugenio Casagrande.

L'emanazione di una serie di decreti, concernenti l'Arma Aerea indipendente, fu il preludio per il ben noto Regio Decreto n°645 in data 28 marzo 1923 che istituiva la Regia Aeronautica come terza Forza Armata dello stato, (Non essendo stata prevista inizialmente la carica di Capo di Stato Maggiore, il primo comandante dell'aeronautica fu il generale Pier Ruggero Piccio, asso dell'aviazione) comprendente "le forze aree del Regno e delle Colonie".
Tutte le forze aeree, anche quelle della Regia Marina, che era giunta all'indomani del primo conflitto mondiale con una "flotta aerea" forte di 657 velivoli, flotta che aveva registrato un ulteriore incremento. Nel 1920 i velivoli in carico erano 850, dei quali 85  in corso di assegnazione o già ordinati, comprendenti tutte le specialità: ricognizione, caccia, bombardamento, siluranti. Un grosso apporto all'Aeronautica, e, conseguentemente, una grossa rinuncia della Marina.


Thaon di Revel confessò, in seguito, la "forte violenza che dovette esercitare sull'animo suo nel controfirmare il decreto di istituzione dell'Aeronautica". Non certo per acrimonia, ma perché consapevole dei guasti a venire, permanendo la "chiusura" per un aviazione autonoma della Marina, tanto più che le direttive del nuovo regime lasciavano intravedere una politica estera, militare e navale a dir poco arrischiata ( lo si vide subito, con la crisi di Corfù dell'agosto 1923 e come questa crisi venne "gestita" da Mussolini).
E' tanto vero che Revel serrava nel petto sentimenti di dissenso, che la crisi, bene o male superata nel 1923, riesplose due anni dopo, quando, senza alcuna preliminare consultazione, il Grande Ammiraglio si vide sottoporre una riforma del Comando Supremo che affidava all'Esercito "mansioni direttive sulla Regia Marina  per ciò che riguardava la preparazione e la condotta della guerra".

Sintomatico il commento di Mussolini, quando Revel presentò le sue dimissioni: "E' per l'Aeronautica?" (segno evidente che il Capo del Governo si era reso conto che il Ministero della Marina aveva accettato a denti stretti di veder sopprimere l'aviazione della Marina).

Per tornare al momento dello scioglimento dei reparti, esso avvenne all'insegna  della più assoluta obbedienza e delle esaltazioni dei valori consacrati in tre anni di guerra.
Il capitano di vascello Giulio Valli scrisse che "alla vigilia del giorno in cui furono abbassate le bandiere delle varie stazioni aeromarittime, togliendo ad esse l'impronta del Corpo a cui appartenevano, fu ordinato che tutti gli aerei efficienti delle varie stazioni e tutto il personale di volo eseguissero un volo di disarmo e di congedo dall'aria; e che la gloriosa bandiera dell'Aeronautica di Marina fosse esposta nella principale stazione che la custodiva ad esaltazione della memoria di coloro che con la vita e con l'opera l'avevano onorata"

Poiché la nuova Forza Armata andò necessariamente incontro a un periodo di transizione, per tre anni l'Accademia  Aeronautica ( nata non a caso a Livorno, con Decreto Commissariale, il 5 novembre 1923), fu ospitata nell'Accademia Navale, fino a quando, il 10 dicembre 1926, venne inaugurata ufficialmente la sede di Caserta.

I primi quadri della Regia Aeronautica  si formarono in questo modo e, fino a quando non fu istituito il Ministero (30 agosto 1925), il Commissariato si avvalse di molti ufficiali di Marina: oltre a Giulio Valli, Alessandro Guidoni, Eugenio Casagrande, Roberti di Castelvero. E, inoltre, Francesco De Pinedo e Umberto Maddalena, assi della nuova Forza Armata, entrambi provenienti dai ranghi della "Grande Silenziosa"
Proprio questa simbiosi fece pensare (o sperare) in un ripensamento sulla validità dell'aviazione di Marina, invece di indulgere a forme di massimalismo, quanto a pensiero militare, sposando le idee di Giulio Douhet sul "potere aereo", inteso in senso assoluto. Ma le idee "douhettiane" e  le suggestioni che ne erano derivate avevano proseliti, anche al massimo livello.

La quota di velivoli assegnati alla Marina venne stabilito, con la specificazione che si trattava di aviazione "ausiliaria", nel 1925. Si trattava  di  53 squadriglie di idrovolanti, suddivisi in 9 gruppi e 4 stormi, più 6 dirigibili. Di queste  35 squadriglie, 29 sarebbero state costiere e 9 imbarcate sulle navi. Fino al 1933, i piloti della Marina continuarono tuttavia a prestare servizio,  man mano sostituiti da quelli dell'Aeronautica: era inteso che ufficiali di Marina sarebbero rimasti gli osservatori.

CONFERENZA di WASHINGTON-FINE DELL'AVIAZIONE DI MARINA
A.N.M.I. CARRARA è intitolato alla M.O.V.M. Alcide PEDRETTI
Viale Colombo 6/A Marina di Carrara Cell. 3463723309
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A.N.M.I.-Associazione-Marinai-d'Italia: Gruppo di Carrara

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